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Celebrazioni per le festività di San Tommaso:
Conferimento della Cittadinanza onoraria al principe don Guido d’Aquino di Caramanico.

6 Marzo 2008


In occasione delle celebrazioni del 7 marzo, festività di San Tommaso, che il Comune di Aquino tiene sempre con grande solennità, nel 2008 si è pensato di “riannodare” in qualche modo i legami con i discendenti dei Conti d’Aquino e quindi di san Tommaso.
Per tale motivo il Consiglio Comunale di Aquino ha deciso di procedere su questa linea assegnando la cittadinanza onoraria di Aquino a uno degli ultimi e più rappresentativi discendenti della dinastia, il principe Guido d’Aquino di Caramanico.
Dal titolo aggiuntivo “di Caramanico” si può notare come poi al nome dell’originaria dinastia, si siano aggiunti a seconda dei casi, anche altri titoli derivanti da altre dinastie con cui i discendenti della dinastia, si sono uniti. 

 

       Nel fare memoria, della nostra storia più lontana e anche di quella più vicina a noi come sempre più spesso accade un po’ a tutti i centri e realtà territoriali, vogliamo quest’oggi richiamare la storia della nostra antica città che è anche storia del territorio che ci circonda e che voi Sindaci rappresentate.
L’occasione di questo incontro e di questa memoria ci è offerta dalle celebrazioni che ogni anno si tengono il 7 di marzo, per ricordare la figura più importante generata dalla nostra terra e figura più importante anche ovviamente, della dinastia da cui ebbe origine, quella dei conti di Aquino, nata in questa città oltre dodici secoli fa e che in breve tempo estese il suo dominio in un vastissimo territorio. La storia di tutte le nostre città è caratterizzata dalla presenza e dall’azione dei conti di Aquino e spesso, come era abituale a quei tempi, anche la storia di guerre, di sconfitte, di aggressioni, di lotte. I castelli che richiamano questo nome sono diffusi un po’ ovunque, e testimoniano ancora oggi l’importanza che per diversi secoli ebbero e l’influenza che esercitarono in questa zona del Lazio meridionale.
Con la fine dell’unione, diciamo così politica, buona parte poi di questi castelli continuò la storia comune e divenne parte dell’organizzazione ecclesiastica, confluendo nel territorio della diocesi di Aquino che era già nata dal V secolo ed era una forte realtà di fede.
Storia comune perciò, unita dallo stesso filo conduttore di questa città, di questo nome e di questa famiglia; storia comune che inizia dopo la fine dell’impero romano e che segna anche la fine delle città romane di questo territorio compresa la nostra e che inizia nel lontano sesto secolo quando Aquino tra il 587 e il 589 venne conquistata dai longobardi, uno dei più noti popoli “barbari” che furono causa della decadenza di Roma. E qui richiamiamo adesso un po’ di storia della nostra contea.
Aquino quasi spopolata venne occupata dai longobardi beneventani sotto il comando del duca Zottone (+590/1). Da quel momento, e per oltre un secolo, il territorio aquinate rappresentò l'estremo possesso del ducato Beneventano verso il Ducato Romano ed Aquino divenne capoluogo di questo distretto di confine e sede del gastaldo, cioè il rappresentante del duca che esercitava per suo conto funzioni militari e giudiziarie.
Nel 774, abbattuto dai Franchi il Regno Longobardo nel nord Italia, il duca di Benevento Arechi II non solo riuscì a conservare la sua indipendenza, ma sotto la spinta dell’orgoglio nazionale accolse tutti i profughi ed elevò il ducato a principato.
La storia dei territori longobardi dell’Italia meridionale nel secolo seguente è caratterizzata da una sequenza di feroci lotte interne per l’autonomia, che coinvolsero anche forze esterne. Durante queste lotte si ricorse all’aiuto dei Saraceni che devastarono il territorio con continue scorrerie causando lo spopolamento delle campagne e nell’846 occuparono Aquino e saccheggiarono Arce.
Nell’849 venne formalmente sancita la divisione del territorio longobardo nei due principati di Benevento e di Salerno. Nell’856, nell’ambito del principato di Salerno, si avviò il processo di autonomia della contea di Capua da cui direttamente dipendeva il gastaldato del Liri la cui sede, dopo la conquista di Sora nel 702, era stata trasferita da Aquino a quella città. Nell'858, per suo intervento in favore del principe di Salerno, al duca di Spoleto venne concesso il territorio di confine con Sora, Arpino, Atina e Vicalvi. Con questa concessione Aquino tornò ad essere capoluogo del Gastaldato del Liri.
Il primo gastaldo di Aquino che le cronache ricordano fu
Rodoaldo, che, verso l’860, costruì il castello di Pontecorvo nel tentativo di sottrarsi dalla dipendenza del conte di Capua, il quale però tentava in tutti i modi di impedirlo. Durante la spedizione contro i saraceni dell’imperatore Ludovico II nell’Italia meridionale, Rodoaldo in qualche modo riuscì ad avere tregua dai Capuani. Con la morte dell’imperatore nell’875 si ridestarono le discordie in Campania e il nostro gastaldo tornò a sentirsi insicuro tanto che si rivolse per aiuto ad un tal chierico Magenolfo che vantava aderenze presso la corte imperiale per aver sposato una nipote dell’imperatrice. Magenolfo accettò l’invito e si recò nel castello di Pontecorvo, ma alla fine tanto riuscì a tramare che mise in prigione Rodoaldo e i due suoi figli e si impadronì del castello e dei suoi vassalli. Dopo tale episodio di Magenolfo non si è avuto più notizia, mentre i documenti ricordano dopo di lui il nome del gastaldo di Aquino
A Rodoaldo successe Rodiperto il quale forse entrò in carica nell’888, ed è ricordato nel 924, e morì prima del 949.
Dopo Rodiperto viene Atenolfo II Megalu, che è certamente uno dei più importanti signori di Aquino. Durante il suo governo, non solo venne realizzata la trasformazione del gastaldato in contea, ma riprese vigore la vecchia sede di Aquino, dove probabilmente proprio lui costruisce la residenza comitale fortificata sullo scoglio di travertino di fronte all’abitato medievale, dove oggi sono conservati i resti del castello, soprattutto la grande torre che domina la valle. A partire dal governo di Atenolfo II, infatti, le fonti assicurano che nella residenza aquinate si trovava il palazzo comitale da dove veniva esercitata la giurisdizione amministrativa e giudiziaria su tutto il territorio della contea che si estendeva fino ai moderni comuni di Santopadre, Terelle, Pastena ed Esperia. Tenace oppositore della politica espansionista di Montecassino, nel 953 Atenolfo II Megalu riuscì ad imprigionare lo stesso abate Aligerno conducendolo ad Aquino e sottoponendolo a pubblica umiliazione. Alla sua morte, nel 984, la contea era divisa in due parti: una pertinente a Pontecorvo in cui troviamo come successore il primogenito Guido e la seconda, più specificatamente aquinate, con gli altri figli Landolfo I, Siconolfo II e Atenolfo III Summucula. Ma è quest'ultimo che di fatto eredita la contea di Aquino e che continua la politica anticassinese del padre. Durante la sua amministrazione, infatti, nel quadro dei difficili rapporti con Montecassino, vennero fondati nel territorio aquinate i castelli di Castrocielo e di Roccasecca.
Nella seconda metà del secolo X sorgono anche i castelli di S. Giovanni Incarico e di Teramen (in territorio di Pignataro Interamna).
Ad Atenolfo III Summucula succede Atenolfo IV, durante il dominio del quale, a quanto sembra, le due parti della contea vengono di nuovo riunite sotto un unico comitato.
Tuttavia, tra i dominatori longobardi di Aquino, quello che raggiunge il più alto grado di potenza e di popolarità è il successore Atenolfo V. Sotto il suo dominio la città viene abbellita di nuovi edifici e di fortificazioni e venne ristabilita l'autorità vescovile sulla diocesi. Pur continuando ad esercitare il comitato su Aquino, nel 1045 Atenolfo V venne eletto console e duca di Gaeta e fin tanto che rimase in vita, l'espansione normanna non riuscì a penetrare nella regione dell'attuale Lazio meridionale. Morto però Atenolfo V il 2 febbraio 1062, il principe normanno di Capua, Riccardo, nel 1064 si impadronì prima di Gaeta e l'anno seguente della contea di Aquino.
Con la conquista normanna la contea di Aquino venne confiscata e poi divisa in feudi assegnati ai fautori locali del principe di Capua, ai suoi comandanti militari e all’abate di Montecassino. I discendenti di Atenolfo V riuscirono a conservare solo i possedimenti di spettanza familiare mentre il titolo di conte di Aquino venne assegnato al normanno Guglielmo di Montreuil. Dopo la morte di questi nel 1070, il principe assegnò di nuovo il titolo ad Atenolfo VII, legittimo discendente dei conti longobardi, il quale, venuto in dissidio con Montecassino, perse di nuovo il titolo in favore dell'abate cassinese, fatto questo che provocò un'insurrezione dei cittadini aquinati. Per alcuni anni Aquino continuò ad essere interessata prima dalla guerra tra il principe di Capua Riccardo e suo figlio Giordano e poi dai vari tentativi di ribellione dei baroni filoimperiali di ceppo longobardo contro i Normanni fìlopapali.
In questo periodo, e più precisamente tra il 1070 e il 1090, durante una fase di buoni rapporti con Montecassino, andrebbe collocata la costruzione dell’edificio di impianto “desideriano” della chiesa di Santa Maria della Libera.
È questo anche il periodo in cui i vari discendenti dei conti di Aquino cominciarono ad acquisire titoli baronali e feudi al di fuori dei confini della vecchia contea, e tra questi feudi vanno segnalati quelli di Vicalvi, Isoletta e Atina. Alla fine delle lotte di supremazia nella zona, nel 1110 troviamo come conte di Aquino Landone III e nel 1123, come capo riconosciuto della dinastia, Atenolfo VIII. Subito dopo i conti di Aquino appaiono imparentati con la famiglia del celebre monaco cassinese Pietro Diacono.
Nel 1148 Rinaldo I d'Aquino è feudatario di Roccasecca, e nel 1157 entra in possesso anche della metà di Monte S. Giovanni che, in aggiunta alla metà già posseduta dai nipoti, figli del fratello Pandolfo, divenne feudo exclave dei conti nello Stato Pontificio.
Dal figlio di uno di questi nipoti, Atenolfo, signore di Alvito, discenderà Tommaso I che, per il suo valore militare, nel 1221 otterrà dall’imperatore Federico II il titolo di conte di Acerra, titolo per altro che era già stato assegnato dal re normanno Guglielmo II al loro congiunto Riccardo, figlio del citato Rinaldo I. Secondo un genealogista, il discendente di questo ramo dei conti di Acerra, Cristoforo I, figlio di Tommaso II e di una figlia naturale dell’imperatore Federico II, con privilegio del re Carlo II del 1 dicembre 1294, fu creato conte di Ascoli Satriano in Puglia. E il secondogenito di Cristoforo nel 1330 ebbe dal re Roberto il titolo di conte di Loreto. I discendenti di questo ramo nel 1442 otterranno dal re Alfonso d'Aragona il titolo di marchesi di Pescara.
Ritornando al citato Riccardo figlio di Rinaldo I., dopo la morte del re Guglielmo II, Riccardo parteggiò per Tancredi e per questa ragione perse il titolo di conte di Acerra e gli vennero confiscati i feudi dall’imperatore Enrico VI. Nel 1201, tuttavia, Aquino venne restituito insieme agli altri feudi, a Rinaldo II e Landolfo, figli di Aimone I, fratello di Riccardo, che si erano schierati con il papa Innocenzo III al tempo in cui questo aveva la tutela sul piccolo Federico II. Con la morte di Rinaldo II, Landolfo resta unico erede nei feudi della media valle del Liri. Da questo Landolfo e dalla sua seconda moglie Teodora nasce verso 1225 Tommaso d’Aquino il futuro dottore angelico.
Dopo la morte di Landolfo, Aquino e gli altri feudi della zona risultavano divisi in porzioni tra i vari eredi della famiglia. L’incremento ulteriore del patrimonio, anche in seguito ai matrimoni contratti dai discendenti in diverse località del Regno di Napoli diede origine ad una vasta rete di relazioni feudali. Proprio a causa della frammentazione dei patrimoni e dell’estensione delle parentele, le vicende di tali feudi ebbero sorti diverse secondo le differenti scelte politiche dei vari rappresentanti della famiglia spesso in maniera autonoma e distaccata dai legami originari con Aquino. Ad esempio la maggior parte dei fratelli di San Tommaso, avendo aderito, seguendo l’esempio del cognato Guglielmo Sanseverino, alla “congiura di Capaccio”, subirono la pesante vendetta di Federico II: Landolfo figlio e Reginaldo vennero giustiziati, mentre gli altri riuscirono a mettersi in salvo nella Campagna Romana. Alla congiura non aderì però l’altro fratello Filippo, che perciò continuò a possedere la sua porzione dei beni paterni e potè trasmetterli al figlio Pandolfo II.
Con l’improvvisa morte di Federico II nel 1250, si riaccesero più violente e diffuse le ribellioni alimentate dal papa Innocenzo IV, solo in parte e con difficoltà sedate da Manfredi. Messo a tacere il partito filopapale in Germania, all’inizio del 1252 Corrado IV sbarcò con il suo esercito in Puglia ricongiungendosi con le truppe di Manfredi. Falliti i negoziati con il papa per ottenere l’investitura del Regno di Sicilia e la successione nell’impero, egli ordinò subito la punizione dei ribelli. I cronisti del tempo ricordano come tra i più attivi partigiani del papa vi fossero i conti di Aquino e che la punizione inflitta dall’imperatore agli Aquinati fu pesante perché la città venne bruciata e rasa al suolo.
Nel 1266, con la venuta nel Regno di Napoli di Carlo d’Angiò, i primi, quelli rifugiatisi nella Campagna Romana, vennero reintegrati nei loro beni, mentre Pandolfo II, ribellatosi durante la discesa di Corradino nel Regno di Napoli, vennero ucciso e i suoi diritti feudali furono assegnati a suo zio Rinaldo III. Quest’ultimo è da identificarsi con quel Rinaldo d’Aquino rinomato poeta in volgare della Scuola Siciliana.
Nel 1453 Aquino passò alla famiglia d'Avalos come bene dotale nel matrimonio di Antonella, figlia di Berardo Gaspare marchese di Pescara, con Innico d'Avalos di antica casata spagnola.
Questo fatto indica come la decadenza politica della città e della dinastia sia ormai un processo irreversibile.
La discendenza dei conti di Aquino però continuò a perpetuarsi attraverso le ramificazioni, ormai ben radicate, in Campania, Abruzzo, in Puglia, in Calabria e in altre regioni dell’Italia meridionale.
Il loro nome si diffonde sempre di più, “e vola per gli spazi e per il tempo” come ebbe a dire il papa Paolo VI in questa città, ma questo derivò poi, non tanto dalla storia cui abbiamo accennato, ma come tutti sappiamo, dalla fama sempre crescente del figlio più illustre di questa casata, quel Tommaso d’Aquino dottore della chiesa e gloria dell’ordine domenicano; lo stesso ordine che al tempo dell’evangelizzazione dopo le grandi scoperte geografiche spagnole del 5-600, in onore di san Tommaso impose il nome della nostra città a molti neobattezzati soprattutto dell’arcipelago filippino dove come si ricorderà aveva questo nome anche un recente presidente di quel lontano Stato. E poi il nome fu dato anche a centri abitati, soprattutto nei Carabi dove nell’sola di Santo Domingo una città ha lo stesso nome della nostra città.
Onore nei confronti del grande Aquinate naturalmente, ma indirettamente anche della sua casata e della nostra terra.
Per tale motivo ci sembra giusto e anche doveroso richiamare la storia della sua casata e con il riconoscimento di questa sera, riallacciare anche se in maniera simbolica i rapporti quella dinastia e Aquino che ne fu la culla, come viene detto nella motivazione del conferimento della cittadinanza onoraria, anche se in qualche modo il rapporto non è mai del tutto spezzato, avendo Aquino nello stemma lo stesso leone rampante che fu il simbolo dei conti di Aquino.
E’ questo il senso dell’iniziativa dell’Amministrazione comunale di Aquino di conferire la cittadinanza onoraria a uno degli ultimi discendenti di quella dinastia, tesa come tante altre iniziative, a non far disperdere, ma anzi a raccogliere e conservare insieme anche a tutti Voi, le tracce del nostro più antico passato, e riannodare i fili di questa lungo e importante passato comune che riaffiora sempre e nelle più svariate occasioni, nella ricerca storica della nostra e delle vostre città, come anche di altre non qui presenti questa sera.
E tutto questo costituisce tra tutti noi un legame particolare anche oggi, anche se sotto forme sensibilmente diverse, ma comunque risente ancora delle nostre comuni origini.

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