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50 ANNIVERSARIO DELLA DISTRUZIONE DELL'AEROPORTO
LUNEDI' 19 LUGLIO 1993
Il 19 luglio 1993 viene celebrato il 50° anniversario del bombardamento sull’aeroporto di Aquino, primo episodio di guerra nel Lazio meridionale.
Il 19 luglio 1943, poco prima di mezzanotte, nella stessa giornata in cui viene bombardato lo scalo S. Lorenzo di Roma, e quindi lo stesso quartiere, iniziano i bombardamenti dell’aeroporto di Aquino che durano tre giorni. Viene distrutto tutto, le caserme, gli hangar, i velivoli tedeschi che allora stazionavano nell’aeroporto militare essendo l’aeroporto da un anno in gestione tedesca.
L’Amministrazione comunale, 50 anni dopo, ricorda quei fatti alla stessa ora in cui si verificarono. Un lungo corteo, radunatosi in Piazza san Tommaso, si snoda alla luce di tante fiaccole, verso il Campo d’Aviazione.
Lungo il cammino, ai limiti del centro urbano, il corteo sosta alcuni minuti e il Sindaco scopre l’insegna stradale con cui si intitola al “19 luglio 1943” la strada parallela a Via Roma, ancora senza nome. Il corteo si rimette in cammino fino al grande piazzale dell’aeroporto, dove, alla stessa ora dei primi bombardamenti viene celebrata la messa dal parroco di Aquino don Battista Colafrancesco che rievoca quei momenti a che lui personalmente ha vissuto.
Al termine il Sindaco e il Prefetto della Provincia di Frosinone, inaugurano un monumento a ricordo di quel tragico momento.
In questa occasione, il Sindaco Antonino Grincia, ha tenuto la seguente commemorazione.
I cittadini di Aquino si raccolgono in piazza San Tommaso per dare inizio alla fiaccolata verso l'aeroporto
“La notte è calda e chiara. All’improvviso, centinaia di razzi luminosi piovono dal cielo illuminando ogni cosa. Poi, alle 22.30, inizia il finimondo. Lo spettacolo è impressionante. Dura circa tre ore”. Così, un lunedì di 50 anni fa un monaco di Montecassino descriveva le scene apocalittiche che si svolsero nei luoghi in cui questa sera, in così tanti, ci troviamo per ricordare e per rivivere una piccola storia che fa parte della grande storia dell’umanità, la cui memoria abbiamo il dovere di conservare e coltivare.
Iniziava così, anche per noi, quella lunga “estate del 43”, così cruciale per i destini del mondo e dell’Italia in particolare estate che vide lo sbarco degli angloamericani in Sicilia, la caduta del regime fascista, l’8 settembre, lo sbandamento del nostro esercito, l’Italia divisa in due.
Cominciava anche per noi, quella lunga estate del ’43 che annunciava, quella notte tutti lo intuirono, i momenti lunghi e drammatici dell’anno successivo.
Lo intuirono i monaci che dalla loggia del paradiso osservavano uno “spettacolo” mai visto, presagi forse della sorte che sarebbe toccata al loro monastero; lo intuirono i tanti che quella notte sparpagliati per le campagne, cercavano un rifugio, guardando attoniti, le immagini che per la prima volta si presentavano ai loro occhi e vivendo sensazioni che l’anno successivo tante volte avrebbero rivissuto più e più volte.
Lo intuirono certamente gli abitanti dei paesi che circondano questa vallata e che quella notte rimasero svegli per osservare, commentare e fare previsioni sul loro futuro. Osservavano frastornati e preoccupati da Montecassino, Piedimonte, Castrocielo, Roccasecca, Roccadarce, Pontecorvo, Pico, Pignataro, Esperia, Ausonia, Colfelice, Monte San Giovanni Campano e fino a Isola Liri e Sora, comprendendo sicuramente che quello che accadeva quaggiù, non era che l’inizio di qualcosa di cui certamente non si riusciva a capire la portata. Era la prima volta del resto che operazioni belliche toccavano le zone interne della nostra penisola, in una guerra così diversa da tutte le altre in cui il “fronte” non si limitava alle zone di confine, né la partecipazione della nostra gente si limitava al coinvolgimento degli uomini arruolati nell’esercito.
Non si intuiva la portata di quanto sarebbe successo, ma sapevano dello sbarco in Sicilia; ed erano cominciate ad arrivare le prime notizie del terribile bombardamento a cui, nella stessa mattinata, ero stato sottoposto il quartiere San Lorenzo di Roma. Non era difficile capire che si cominciavano ad attaccare obiettivi militari e civili che avrebbero potuto essere di ostacolo lungo la via per Roma. Era logico perciò, pensare che di qui sarebbero passati gli eserciti alleati, era logico pensare che la calma vita quotidiana vissuta soprattutto all’insegna dei lavori nei campi ne sarebbe uscita sconvolta. Si prevedeva un futuro incerto e denso di pesanti incognite. Ecco perché quella notte, cambiò la vita di tutti quelli che la vissero: al di là delle distruzioni di cui ancora oggi si vedono le tracce, tutti capirono che quello che avevano vissuto, non era che l’inizio di momenti ben più tragici.
E infatti questi momenti non si fecero attendere troppo: quello che si temeva, puntualmente si verificò, anche se le perdite umane ad Aquino, come negli altri centri, furono limitate dal fatto che molti cominciarono ad abbandonare le loro case in previsione del peggio. La vita di tutti divenne precaria e, si può solo immaginare, fitta di disagi e di difficoltà. Molti, come già avevano fatto tanti secoli prima i loro lontani antenati, cercarono di rifugiarsi nei paesi delle montagne che ci circondano, molti, famiglie intere o soltanto bambini, cominciarono a sfollare verso le regioni del centro- nord.
Il Sindaco scopre il monumento insieme al prefetto di Frosinone Felice Albano
L’otto settembre prima, i bombardamenti della primavera successiva poi, sconvolsero definitivamente la tranquilla vita della gente della Valle del Liri. Aquino, come buona parte dei centri posti lungo le linee Gustav e Hitler, venne quasi rasa al suolo. Distrutte le case, distrutta la Cattedrale, le strade ridotte ad un ammasso di macerie, i campi completamente abbandonati, il volto della nostra Città divenne irriconoscibile. Ma le sofferenze, che furono tante e prolungate, le difficoltà che crescevano di giorno in giorno, le privazioni, che oggi nemmeno riusciamo ad immaginare, spesso sono punto di forza dei processi di rinascita. E così fu: l’Italia ferita e umiliata si risollevò e risorse. Le nostre e le altre città più duramente colpite, si risollevarono e risorsero; la nostra gente lavorò duramente: ricostruì le case, ricostruì le scuole, ricostruì le chiese, costruì anche le fabbriche che prima non c’erano. Riprese il lavoro nei campi con tecniche e strumenti nuovi: poco a poco, cambiò nuovamente il volto della nostra città. Poco a poco, cambiarono anche le abitudini e lo stile di vita. La “qualità della vita”, come si usa dire oggi, migliorò e cominciò a diffondersi un benessere che mai prima avevano conosciuto. Le certezze erano poche, ma la speranza di costruire qualcosa di nuovo e di duraturo era elevata. Così fu per Aquino, così fu per l’Italia.
Il monumento che ricorda la distruzione dell'aeroporto, subito dopo l'inaugurazione sulla sinistra il gonfalone di Aquino
Ci fu perciò la rinascita, a cui parteciparono cittadini di tutte le estrazioni sociali, e di tutte le età, perché l’ho anche detto in altra occasione, “motivati da una solidarietà profondamente avvertita, dalla voglia di riscatto, dall’affermazione di una dignità ritrovata, dalla certezza di costruire un mondo più giusto. Ci riuscirono perché reduci da un’esperienza che volevano lasciarsi alle spalle e dalla volontà che li spingeva ad andare avanti”. Si ricostruì e si scrissero nuove leggi e una nuova Costituzione che riformò le pubbliche Istituzioni.
Si ricomposero le forze armate che pur in mezzo a difficoltà inenarrabili negli anni della guerra, tanto avevano operato per la difesa degli Italiani, sia come esercito, sia come aeronautica, sia come arma dei Carabinieri, che anche individualmente, avevano sacrificato la propria vita, basti citare il caso del brigadiere Salvo d’Acquisto.
In Patria i Carabinieri, a difesa dell’ordine pubblico; all’estero, in missioni umanitarie, l’esercito e l’aereonautica, hanno purtroppo continuato a sacrificare i loro uomini anche in tempo di pace perché la guerra, subdolamente, sotto altre vesti, fa sempre sentire e vedere il suo volto sinistro.
Perché la guerra, che al momento della ricostruzione i popoli pensavano non ci sarebbe più stata, si è fatta sentire più e più volte. L’insipienza umana ha continuato a colpire, e le armi hanno continuato ad uccidere, dagli angoli più disparati del mondo, fino ai nostri confini, dove, dalla ex Iugoslavia la visione delle stragi quotidianamente perpetrate giungono ogni giorno nelle nostre case.
Perché la guerra, anche in Italia, è tornata ed è ogni giorno combattuta. Certo non è quella classica, dove almeno il nemico si conosce, ma anche la guerra alla grande criminalità organizzata ha ogni giorno i suoi morti e a volte, è anche più pericolosa perché il nemico non solo è nascosto, ma non rispetta nessuna regola.
Ecco, certamente coloro che ricostruirono le nostre città ed il nostro tessuto sociale, non immaginavano che quella terribile esperienza avesse insegnato così poco da ricadere spesso negli stessi sbagli, ne immaginavano che gli sforzi per la pacificazione degli stessi italiani che si erano combattuti su fronti contrapposti, un giorno sarebbero stati rimessi in discussione. Non immaginavano che l’unità degli Italiani avrebbe trovato tanti nemici. E’ vero che molti sono venuti meno al mandato e alla fiducia loro affidati, è vero che i fatti dell’ultimo anno della vita pubblica hanno allontanato i cittadini dalle Istituzioni, è vero, che spesso c’è stata cattiva gestione del bene collettivo, ma questo si può eliminare con il contributo, il lavoro e la vigilanza di tutti, non certo auspicando la divisione del Paese.
La crisi morale che stiamo vivendo è grave, la confusione è tanta, ma se cinquant’anni fa siamo stati capaci di rinascere, lo saremo anche questa volta, anche se le crisi morali sono ben più di difficile soluzione di quelle materiali. L’Italia risorgerà, ha detto tempo fa il rappresentante della nostra Repubblica, anche perché gli Italiani hanno capacità e risorse perché questo avvenga. L’Italia rinascerà come è rinata materialmente e moralmente 50 anni fa, ha detto il Papa appena ieri ricordando i fatti del ’43. Certo, l’Italia rinascerà se ognuno di noi, mettendo da parte le facili recriminazioni, reciterà la sua parte nel modo più serio, onesto e costruttivo possibile, non tenendosi in disparte, ma dando il contributo necessario e doveroso per superare la grave crisi di fiducia che coinvolge tutti noi. Lo dobbiamo anche alla memoria di tutti quelli che per noi si sono sacrificati.
Avviandomi al termine di questo mio intervento che, come tutta la cerimonia, vuole costituire un segno di omaggio e di riconoscimento a tutti quelli che hanno vissuto i tragici momenti che stiamo commemorando, sento il dovere, come rappresentante di questa collettività, di salutare tutti quelli che sono presenti qui questa notte e di ringraziare anche quelli che non sono più, ma che tanto hanno contribuito alla ricostruzione della nostra città e della nostra società e di additarli come esempio di abnegazione e di sacrificio, alle generazioni più giovani che pure sono largamente rappresentate. Ringrazio quanti, con noi, partecipano a questo atto di omaggio a cominciare dal rappresentante del Governo, il Signor Prefetto di Frosinone, ai Sindaci che rappresentano le comunità che, come la nostra, hanno patito e superato sofferenze e privazioni; ai rappresentanti delle nostre Forze Armate, l’Esercito, l’aeronautica, l’Arma dei Carabinieri, impegnati oggi come allora, nella difesa costante dei cittadini.
Infine, voglio chiudere questa mia commemorazione, con le parole pronunciate nel 1965 all’ONU dal Papa Paolo VI che, profetica coincidenza, accompagnava Pio XII tra i colpiti del quartiere San Lorenzo quello stesso giorno del ’43 e che giungendo trent’anni dopo, nel luogo in cui ci troviamo adesso, suggellava la rinascita di quest’area e di questa Città.
Le stesse parole che abbiamo voluto incidere sul cippo appena inaugurato: auspicio utopistico forse, visto quello che succede nel mondo, forse solo una speranza, certo, ma ugualmente potente perché espresso con la forza che solo9 la speranza sa dare:” mai più la guerra, guerra mai più”.
Una immagine del campo di aviazione in occasione di questa celebrazione. Sullo sfondo l'Abbazia di Montecassino
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