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L’AQUINO MEDIOEVALE

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la Contea di Aquino


I castelli che circondavano Aquino, centro della contea, posti tutti sulle alture dei monti circostanti.

 


I resti del castello comitale aquinate, sede della dinastia. Su tutto domina
l’imponente mole della torre, detta anche Torre di San Tommaso.

Il quinto vescovo di Aquino Iovinus muore quando già la città è occupata dai Longobardi beneventani, l'arrivo dei quali segna per Aquino l'inizio della sua storia medievale documentata e per tutto il Lazio meridionale una fase di grandi cambiamenti. Gregorio Magno, che nella sua famosa opera i Dialogi ricorda l’avvenimento, rimarca come il vetusto municipio avesse molto sofferto al primo impatto con i conquistatori e per il contemporaneo imperversare della peste, tanto che la popolazione risultò così ridotta che non fu possibile trovare un successore alla morte del vescovo. È possibile, perciò, che gli Aquinati superstiti avessero momentaneamente abbandonato il centro urbano e la pianura per riparare in luoghi appartati e sui monti vicini come è ampiamente tramandato.


Papa Gregorio Magno, ritratto mentre scrive la sua monumentale opera “I dialoghi”,
dove si descrive anche la vita di San Benedetto e si fa cenno a San Costanzo Vescovo di Aquino.


Dalle notizie di Gregorio Magno si può supporre che l'occupazione di Aquino da parte dei Longobardi, sotto il comando del duca di Benevento Zottone (+590/1), possa datarsi verso il 587/589, all'indomani della presa di Montecassino. Come era avvenuto per le altre regioni dell’Italia, anche qui la penetrazione longobarda dovette essere rapida e fluida per la debolezza delle difese lungo le vie consolari dell’entroterra, difese che i Bizantini invece dovevano aver rafforzate in direzione della zona costiera per impedire la conquista dei vitali scali marittimi.


Una planimetria di Aquino al tempo della venuta dei longobardi.
Dai longobardi proviene la schiatta dei Conti di Aquino.

 


Possiamo pensare che in questa prima fase l’occupazione longobarda avesse interessato gran parte degli antichi territori municipali di Cassino, Interamna e Aquino, in pratica tutta la vallata e i rilievi montuosi circostanti. Da quel momento, e per oltre un secolo, il territorio aquinate rappresenterà l'estremo possesso dei Beneventani verso il Ducato Romano. Si può ritenere che non molto tempo dopo, quando si attenua l’impeto iniziale e si delinea chiaro il proposito dei nuovi arrivati (i Longobardi) ad una permanenza stabile sul nostro territorio, gli abitanti nascosti e dispersi nei luoghi circostanti ritornino nelle sedi prima abbandonate e quindi ridiscendano dai monti.


Una pagina manoscritta della “ Historia Longobardorum”.

 


Paolo Diacono scrive nella Historia Langobardorum (VI, 27) che l'espansione longobarda verso il Ducato Romano riprende nel 702 con il duca Gisulfo I di Benevento, il quale estende la conquista fino ad Arce, Arpino e Sora portando il confine lungo il corso del Liri. Con l'occupazione di Sora la sede del comando del distretto del Liri viene trasferita da Aquino a questa città. Nel 774, abbattuto dai Franchi il Regno Longobardo nel nord Italia, il duca di Benevento Arechi II non solo riesce a conservare la sua indipendenza, ma sotto la spinta dell’orgoglio nazionale accoglie tutti i profughi ed eleva il ducato a principato con chiaro significato antifranco.
La storia della Longobardia Minore (così vengono definiti dagli studiosi questi territori longobardi) nel secolo seguente è caratterizzata da una sequenza di feroci lotte interne per l’autonomia. Durante queste lotte si ricorse all’aiuto dei Saraceni che devastarono il territorio con continue scorrerie causando lo spopolamento delle campagne e nell’846 i Saraceni occuparono Aquino e saccheggiarono Arce.
Nell’849 viene sancita la divisione nei due principati di Benevento e di Salerno; nell’856 si avvia il processo di autonomia della contea di Capua da cui dipende il gastaldato del Liri. Nell'858, per il suo intervento in favore del principe di Salerno, viene concesso al duca di Spoleto il territorio di confine con Sora, Arpino, Atina e Vicalvi. Con questa concessione Aquino torna ad essere capoluogo del Gastaldato del Liri.


Una immagine del sito medievale di Aquino, posto di fronte al centro della città romana.

 


I Chronica s. Benedicti Casinensis (cap. 14) ci hanno trasmesso il nome del gastaldo di Aquino, Rodoaldo, e la sua singolare e sfortunata storia. Verso l’860 Rodoaldo costruisce un castello anche nel villaggio che Aquino ha presso il Ponte curvo (oggi Pontecorvo) per sottrarsi dalla dipendenza del conte di Capua, il quale però tentava in tutti i modi di impedirlo. Durante la spedizione antisaracena dell’imperatore Ludovico II nell’Italia meridionale, Rodoaldo in qualche modo riesce ad avere tregua dai Capuani. Con la morte dell’imperatore nell’875 si ridestano le discordie in Campania e il nostro gastaldo torna a sentirsi insicuro tanto che si rivolge per aiuto ad un tal chierico Magenolfo che vantava aderenze presso la corte imperiale in quanto aveva sposato una nipote dell’imperatrice. Magenolfo accetta l’invito e si reca con la famiglia, con i servi e con tutte le suppellettili nel castello del Ponte curvo, ma alla fine tanto riesce a tramare che mette in prigione Rodoaldo e i due suoi figli e si impadronisce del suo castello e dei suoi vassalli. Dopo tale episodio di Magenolfo non si ha più notizia, mentre i documenti ricordano dopo di lui come gastaldo di Aquino Rodiperto e nel 949 il nipote di questo Atenolfo II Megalu.


Una ricostruzione al computer dei resti del castello e del borgo medievale.

 


Atenolfo II Megalu è certamente uno dei più importanti signori di Aquino, durante il suo governo, non solo viene realizzata la trasformazione del gastaldato in contea e viene costruita la residenza comitale fortificata sullo scoglio di travertino di fronte al sito della città romana e longobarda, in pratica corrispondente al moderno centro storico di Aquino. La coesistenza dei due luoghi contigui e topograficamente distinti si rileva anche da un passo della Storia dei Normanni di Amato di Montecassino dove a proposito di Aquino si menzionano “la roche et la cité”. Nella citata residenza fortificata è da riconoscere l’“Aquinense pretorium” citato successivamente nella cronaca di Leone Ostiense e nei documenti e che perciò gli studiosi moderni chiamano “castello pretorio”. A partire dal governo di Atenolfo II, infatti, i documenti ci assicurano che nella residenza aquinate si trova il palazzo dei conti da dove è esercitata la giurisdizione amministrativa e giudiziaria su tutto il territorio della contea, dal monte Cairo ai monti Aurunci, cioè in un’area che si estendeva fino ai moderni comuni di Santopadre e Terelle, di Pastena ed Esperia.


Un’altra ricostruzione al computer del castello visto dalla torre rotonda.

 


Tenace oppositore della politica espansionista di Montecassino, nel 953 Atenolfo II Megalu riesce ad imprigionare lo stesso abate Aligerno conducendolo ad Aquino e sottoponendolo a pubblica umiliazione (Leo Ostiense II, 2). Alla sua morte, nel 984, la contea appare divisa in due parti: una parte pertinente a Pontecorvo in cui troviamo come successore il primogenito Guido e un'altra parte settentrionale più specificatamente aquinate in cui ci sono gli altri figli Landolfo I, Siconolfo II e Atenolfo III Summucula. Ma è quest'ultimo che di fatto eredita la contea di Aquino e che continua la politica anticassinese del padre. Durante la sua amministrazione, infatti, nel quadro dei difficili rapporti con Montecassino, vengono fondati nel territorio aquinate i castelli di Castrocielo e di Roccasecca. Nel corso della seconda metà del secolo X, nell'ambito delle due parti della contea, sorgono anche i castelli di S. Giovanni Incarico e di Teramen (questo ubicato all’estremità orientale della città romana di Interamna Lirenas).


Il castello di Aquino difeso da mura e circondato dalle acque come probabilmente era verso l’anno mille.

 


Ad Atenolfo III Summucula succede un non meglio conosciuto Atenolfo IV, durante il dominio del quale le due parti della contea vengono di nuovo riunite sotto un’unica contea. Tuttavia, tra i dominatori longobardi di Aquino, quello che raggiunge il più alto grado di potenza e di popolarità è il successore Atenolfo V. Sotto il suo dominio la città viene abbellita di nuove costruzioni e di fortificazioni e viene ristabilita l'autorità vescovile sulla diocesi. Pur continuando ad esercitare il comitato su Aquino, verso la metà del 1045 Atenolfo V viene eletto console e duca di Gaeta e fin tanto che rimane in vita l'espansione normanna non riesce a penetrare nella regione dell'attuale Lazio meridionale. Morto però Atenolfo V il 2 febbraio 1062 (il suo epitaffio fu scritto dall'arcivescovo di Salerno Alfano), il principe normanno di Capua, Riccardo, nel 1064 si impadronisce prima di Gaeta e l'anno seguente della contea di Aquino.
Con la conquista normanna la contea di Aquino viene confiscata e poi divisa in feudi assegnati ai fautori locali del principe di Capua, ai suoi comandanti militari e all’abate di Montecassino. I discendenti di Atenolfo V riescono a conservare solo i possedimenti di spettanza familiare mentre il titolo di conte di Aquino viene assegnato a Guglielmo di Montreuil. Dopo la morte di questi nel 1070, il principe riassegna il titolo ad Atenolfo VII, il quale venuto in dissidio con Montecassino, perde di nuovo il titolo in favore dell'abate cassinese, fatto questo che provoca un'insurrezione dei cittadini aquinati. Per alcuni anni Aquino continua ad essere interessata prima dalla guerra tra il principe di Capua Riccardo e suo figlio Giordano e poi dai vari tentativi di ribellione dei baroni filoimperiali di ceppo longobardo contro i Normanni fìlopapali.


Una miniatura raffigurante mura di un castello, com’è riprodotta in un documento di Montecassino.


In questo periodo, secondo Giovanni Carbonara, e più precisamente tra il 1070 e il 1090, durante una fase di buoni rapporti con Montecassino, andrebbe collocata la costruzione dell’edificio di impianto “desideriano” di Santa Maria della Libera.


La chiesa della Madonna della Libera, esistente nel periodo di massimo
fulgore dei Conti di Aquino, in una ricostruzione al computer.


È questo anche il periodo in cui i vari discendenti dei conti di Aquino cominciano ad acquisire titoli e feudi al di fuori dei confini della vecchia contea, e tra questi i feudi vanno segnalati quelli di Vicalvi, Isoletta e Atina. Alla fine delle lotte di supremazia nella zona, nel 1110 troviamo come conte di Aquino Landone III e nel 1123, come capo riconosciuto della dinastia, Atenolfo VIII conte di Atina. Subito dopo i conti di Aquino appaiono imparentati con la famiglia del celebre monaco cassinese Pietro Diacono. Nel 1148 Rinaldo I d'Aquino è feudatario di Roccasecca, e lo stesso Rinaldo nel 1157 entra in possesso della metà di Monte S. Giovanni che, in aggiunta alla metà già posseduta dai nipoti, figli del fratello Pandolfo, diviene feudo exclave della dinastia nello Stato Pontificio. Dal figlio di uno di questi nipoti, Atenolfo, signore di Alvito, discenderà Tommaso I che, per il suo valore militare, nel 1221 otterrà dall’imperatore Federico II il titolo di conte di Acerra, titolo per altro che era  già stato assegnato dal re normanno Guglielmo II al loro congiunto Riccardo figlio del citato Rinaldo I. Gli eredi di Atenolfo di Alvito diventeranno poi conti  di  Loreto. I discendenti di questo ramo nel 1442 otterranno dal re Alfonso d'Aragona il titolo di marchesi di Pescara.


Una miniatura raffigurante di un vescovo cincordato da diaconi nello stesso documento
dell’archivio della vicina abbazia benedettina.

 


Dopo la morte del re Guglielmo II il menzionato Riccardo parteggia per Tancredi e per questa ragione gli vengono confiscati i feudi dall’imperatore Enrico VI. Nel 1201 tuttavia Aquino viene restituito, assieme agli altri feudi, a Rinaldo II e Landolfo, figli di Aimone I fratello di Riccardo, che si sono schierati con il papa Innocenzo III al tempo che questo aveva la tutela sul piccolo Federico II. Con la morte di Rinaldo II, Landolfo resta unico erede nei feudi della media valle del Liri. Da questo Landolfo e dalla sua seconda moglie Teodora nasce verso 1225 il celebre teologo e santo Tommaso d’Aquino.


La poderosa mole della torre principale del castello di San Tommaso,
si staglia imponente sulla ripida roccia circostante.


Dopo la morte di Landolfo, Aquino e gli altri feudi della zona risultano divisi in parti tra i vari eredi della famiglia, i quali, seguiti poi dai loro discendenti, incrementando ulteriormente il loro patrimonio e contraendo matrimoni in diverse località del Regno di Napoli, danno origine ad una vasta rete di relazioni feudali. Proprio a causa della frammentazione dei patrimoni e della estensione delle parentele le vicende di tali feudi, che seguono sorti diverse secondo le differenti scelte politiche seguite dai vari rappresentanti della famiglia, diventano difficili da seguire e comunque spesso si svolgono in maniera autonoma distaccandosi dai legami originari con Aquino. Ad esempio la maggior parte dei fratelli di san Tommaso, avendo aderito, seguendo il cognato Guglielmo Sanseverino, alla “congiura di Capaccio”, subiscono la pesante vendetta di Federico II: Landolfo figlio e Reginaldo vengono giustiziati, mentre gli altri riescono a malapena a mettersi in salvo nella Campagna Romana. Alla congiura non aderisce però l’altro fratello Filippo, che perciò continua a possedere la sua porzione dei beni paterni e può trasmetterli al figlio Pandolfo II. Nel 1266, con la venuta di Carlo d’Angiò, i primi vengono reintegrati nei loro beni, mentre Pandolfo II, ribellatosi durante la discesa di Corradino nel Regno di Napoli, viene ucciso e i suoi diritti feudali vengono assegnati a suo zio Rinaldo II. E questo ultimo è da identificarsi con quel Rinaldo d’Aquino rinomato poeta in volgare della Scuola Siciliana.


Un’altra miniatura del documento cassinese.

 


Con l’improvvisa morte di Federico II nel 1250, si riaccendono più violente e diffuse le ribellioni alimentate dal papa Innocenzo IV, solo in parte e con difficoltà sedate da Manfredi. Messo a tacere il partito filopapale in Germania, all’inizio del 1252 Corrado IV sbarca con il suo esercito in Puglia ricongiungendosi con le truppe di Manfredi. Falliti i negoziati con il papa per ottenere l’investitura del Regno di Sicilia e la successione nell’Impero, si rivolge subito alla punizione dei ribelli. I cronisti del tempo, Niccolò Jamsilla e Matteo Spinelli, ricordano come tra i più attivi partigiani del papa vi fossero i conti di Aquino. Gli stessi cronisti ricordano che la punizione inflitta da Corrado agli Aquinati fu pesante perché la città venne bruciata e rasa al suolo.


Anche questa miniatura  raffigurante le mura di un castello, si trova nello stesso documento.

 


Gli studiosi sono concordi nel ritenere che la città ricordata dai cronisti che subì la distruzione è da intendersi l’abitato nell’antico sito romano, la cui scomparsa determinò la lenta e inesorabile decadenza di Aquino e la sua continuità fu assicurata solo dal castello comitale nell’attuale centro storico.


Un momento di una rievocazione medievale davanti alla “casa di San Tommaso”.

 


Da quel momento la contea di Aquino comincia la sua decadenza. Ai conti di Aquino rimane il titolo, importante, ma non più il potere di un tempo. La Città da cui avevano avuto l’origine e il nome non fu più un dominio importante per loro, ma divennero padroni di Roccasecca, di Loreto, di Belcastro di Acerra, di Padula e di tanti altri domini estesi in tutta l’Italia meridionale.


Una rievocazione storica sullo sfondo dei resti del castello di San Tommaso dominati dalla grande torre.

 


Aquino non ebbe più una grande storia; come tante città che avevano avuto una grande storia, divenne proprietà di altri signori. Nel XV secolo divenne possedimento della famiglia d’Avalos in conseguenza del matrimonio di Antonella figlia di Bernardo d’Aquino con Innico d’Avalos che era al seguito di Alfonso d’Aragone quando gli Spagnoli occuparono il regno di Napoli.
Nel 1583 dai d’Avalos passò alla nota famiglia Boncompagni di Piombino, dinastia tuttora esistente e che divenne “proprietaria” di molti altri centri dell’ex contea. I Boncompagni comunque ebbero il merito di procedere ad un’opera di bonifica del territorio di Aquino, divenuto ormai semipaludoso, risistemando lo scorrimento delle acque negli attuali corsi delle “Forme d’Aquino” e facendo ritornare molto elevata la produzione agricola.
Aquino rimase loro proprietà fino al secolo XVII quando rimase loro proprietà fin all’inizio del secolo XVIII quando fu ceduta a Ferdinando IV Re di Napoli e fu parte del regno di Napoli fino all’Unità d’Italia.


Una visione di quello che resta oggi della cittadella inglobata nel castello dei conti di Aquino, sopra la piana che un tempo era ricoperta dalle acque dei laghi.


Pianta ricostruttiva dell’intero castello e del palazzo comitale della dinastia aquinate.

 

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